Dubbia l’attribuzione della rilevanza ai fini 231 solo ad alcuni reati ambientali

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  • Dubbia l’attribuzione della rilevanza ai fini 231 solo ad alcuni reati ambientali
Assonime critica la scelta di adottare un criterio che evidenzia condotte solo formali ed esclude fattispecie connesse a possibili disastri ambientali
  • / Annalisa DE VIVO / Martedì 29 maggio 2012
  • L’inserimento dei reati ambientali nel“catalogo 231” richiede una particolare attenzione da parte di tuttigli operatori del sistema-impresa. È questo il tema di cui si occupa Assonime nella circolare n. 15 diffusa ieri, che si sofferma sulla novella recata dal DLgs. 121/2011 e all’impatto di questa ennesima estensione della responsabilità ex DLgs. 231/2001 sull’organizzazione degli enti interessati. 
    Assonime si concentra in primo luogo sulle condotte previste dall’art. 25-undecies del Decreto 231 che, oltre agli illeciti di cui agli artt. 727-bis(uccisione, distruzione, cattura, prelievo e detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette) e 733-bis (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto) c. p., include altre figure di reato già contemplate dal Testo unico dell’ambiente e da altre leggi speciali, tra cui si ricordano, a titolo non esaustivo:
    – lo scarico di acque reflue industrialicontenenti sostanze pericolose;
    – la raccolta, il trasporto, il recupero, lo smaltimento, il commercio e l’intermediazione dei rifiuti in mancanza delle autorizzazioni necessarie;
    – la realizzazione e la gestione didiscariche non autorizzate;
    – la predisposizione di certificati di analisi dei rifiuti contenenti false indicazioni sulla natura, la composizione e le caratteristiche degli stessi;
    – l’inquinamento del suolo e del sottosuolo con superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se l’autore del reato non provvede alla bonifica in conformità a quanto disposto dalle autorità competenti;
    – la violazione delle disposizioni in materia di produzione, importazione, esportazione, detenzione, commercializzazione, riciclo e raccolta delle sostanze lesive dell’ozono e dannose per l’ambiente;
    – l’inquinamento doloso o colposo delmare.

     

    In merito alle scelte operate dal legislatore, Assonime critical’attribuzione della rilevanza ai fini 231solo ad alcuni dei reati ambientalicontemplati dal Testo unico ambientale, secondo un criterio che, da un lato, evidenzia condotte solo formali e, dall’altro, esclude fattispecie connesse a possibili disastri ambientali, ovvero inerenti a fenomeni di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti.

    Dopo aver ricordato le pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive comminabili in caso di compimento dell’illecito da parte di un apicale dell’impresa o di un soggetto a questi sottoposto, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, la circolare si interroga circa lo scopo“preventivo” o “punitivo” che, attraverso l’inserimento dei reati ambientali nel Decreto 231, si è inteso perseguire. In particolare, atteso che il meccanismo premiale introdotto dal decreto è finalizzato ad esonerare dalla responsabilità quegli enti che abbiano tentato di prevenire la commissione di reati predisponendo appositi modelli organizzativi e affidandone la vigilanza ad un apposito organismo, dovrebbe ritenersi che la disciplina in questione sia stata emanata con l’obiettivo di prevenire il fenomeno della criminalità d’impresa piuttosto che di sanzionarla; e, a ben vedere, nessun modello, nemmeno quello meglio strutturato, potrebbe svolgere una funzione esimente laddove sia la stessa attività dell’impresa ad assumere i connotati dell’illegalità. D’altro canto, la finalità punitiva del decreto 231 è incontrovertibile, stante la progressiva apertura del catalogo dei reati a condotte illecite che sono tipiche dell’impresa criminale.

    Con riferimento ai modelli organizzativi, Assonime sottolinea poi la difficoltà insita nell’attività di monitoraggio delle aree di rischio necessaria per l’adeguamento all’art. 25-undecies del Decreto 231, data l’eterogeneità delle norme che prevedono illeciti ambientali e la difficoltà di ricostruirne puntualmente i contenuti, dal momento che molte di esse rinviano ad atti amministrativi, dunque esterni al precetto penale.

    Organismo di vigilanza necessario per il funzionamento del modello

    Di indubbio interesse è la parte dello studio in cui Assonime analizza i rapporti tra “modello 231” e SGA (Sistema di Gestione Aziendale) elaborato in conformità allo standard ISO 14001 e al Regolamento europeo EMAS. In particolare, ci si chiede se l’impresa dotata di un efficace SGA sia tenuta anche a predisporre il “modello 231”, ovvero se quest’ultimo sia già contenuto all’interno del primo. In effetti, è indubitabile che, al fine di adeguare un SGA alle finalità preventive di cui al DLgs. 231/2001, alcune attività debbano essere poste in essere, ad esempio per integrarel’analisi ambientale iniziale con un’identificazione più specifica degli ambiti aziendali di interesse rispetto ai reati ambientali, ovvero per rimarcare – nell’ambito delle aree a rischio reato – la separazione tra compiti e funzioni, evitando in tal modo l’eccessiva concentrazione di ruoli in capo ad un’unica figura.

    Né va dimenticata la necessità di istituire l’organismo di vigilanza, essenziale per il corretto funzionamento del modello: sul punto, Assonime rileva che, ove, in ossequio a quanto disposto dall’art. 14, comma 12, della L. 183/2011, le funzioni dell’ODV siano attribuite al collegio sindacale, quest’ultimo potrà avvalersi – per un corretto espletamento delle stesse – diconsulenti esperti in materia ambientale. Con riferimento a quest’ultimo punto, non può non osservarsi come il ricorso a soggetti esterni vanifichi almeno in parte lo scopo dichiarato della citata norma, che è quello di semplificare la struttura dei controlli interni ed evitare diseconomiche duplicazioni di costi: se il collegio sindacale non è in grado di esercitare in autonomia le funzioni di vigilanza sul modello organizzativo, occorrerebbe chiedersi se, ai fini dell’efficacia e della validità esimente di quest’ultimo, non sia invece più corretto istituire un organismo ad hoc, dotato delle competenze specifiche necessarie.

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