Anche i partiti dovrebbero rientrare nell’ambito applicativo della «231»

 

RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI

Anche i partiti dovrebbero rientrare nell’ambito applicativo della «231»

Comminare le sanzioni interdittive del DLgs. 231/2001 sarebbe meno pericoloso, perché non applicarle porta spesso a una parziale impunità
30/04/2012
FONTE EUTEKNE.INFO
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Pubblichiamo l’intervento di Roberto De Luca, ricercatore presso l’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (area aziendale).

Vent’anni dopo la caduta della Prima repubblica in seguito agli scandali di Tangentopoli, siamo ancora, nostro malgrado, testimoni di spettacoli agghiaccianti che vedono come protagonisti i partiti e chi ne è incaricato della gestione amministrativa ed economica.
Come sempre accade in Italia, dopo lo tsunami tutti dicono che bisogna rafforzare gli argini e migliorare i meccanismi di previsione e prevenzione di “onde anomale” che, in ogni caso, erano facilmente prevedibili, visto quanto accaduto nel recente passato. In un Paese che vive di leggi e provvedimenti “emozionali”, il tema in esame, per la delicatezza e il grado di coinvolgimento, non è stato escluso dalle attività di riparazione istintiva a cui ormai siamo abituati (ci si ricorda della pericolosità della guida in stato di ebbrezza e dell’importanza di sanzionare duramente tali comportamenti solo in seguito a qualche strage del sabato sera, stesso discorso vale per gli incidenti sul lavoro e così via).

Dopo anni di autoindulgenza, oggi i maggiori partiti scoprono che il meccanismo deifinanziamenti di cui beneficiano è fallace e presta il fianco alle condotte fraudolente di tesorieri e dirigenti quantomeno disinvolti nella gestione dei fondi, che ci troviamo a commentare in questi giorni. Tralasciando il peccato originario degli attuali rimborsi elettorali, viziati innanzitutto da un “dribbling” ai danni di un referendum che avevaabrogato il vecchio finanziamento pubblico ai partiti, appare necessario affrontare la questione nel merito, senza indulgere in facile demagogia o farsi influenzare da ideologie politiche. È probabilmente vero che un’abolizione tout court di qualsiasi forma di sostegno pubblico all’attività dei partiti i quali, in tal caso, sarebbero effettivamente in balia di lobby e tycoon; sono altresì dell’avviso che un simile meccanismo, gestito nei modi e nei termini che hanno prodotto i disastri a cui stiamo assistendo, non sia piùsostenibile.

Soprattutto, non è sostenibile, a fronte di determinati comportamenti, ascoltare giuristi, politologi, avvocati ed eminenti studiosi interrogarsi e chiedersi se i fatti abbiano rilevanza penale e, in caso affermativo, quali ipotesi di reato possano integrare (ce ne sarebbe per tutti i gusti, dalla truffa ai danni dello stato alla malversazione, fino all’indebita percezione di erogazioni pubbliche). Ciò che desta ancor più meraviglia, in ogni caso, è la completa assenza di un’associazione concettuale e giuridica degli illeciti verificatisi alla disciplina della “Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, sancita dal DLgs. 231/2001.

Finora, i partiti politici sono stati considerati soggetti esclusi dalla normativa in questione, sulla base del comma 3 dell’art. 1, il quale stabilisce che la disciplina non si applica agli “enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”. Tale locuzione è stata interpretata in maniera praticamente unanime, facendo rientrare i partiti in una zona franca, non assoggettata alla responsabilità in oggetto, sulla base delle delicate conseguenze che produrrebbe l’impatto, su questi soggetti, delle sanzioni interdittive previste dal nuovo impianto legislativo.

A ben vedere, tuttavia, poiché la stessa Relazione Ministeriale al Decreto non fornisce una certezza assoluta al riguardo, sostenendo che tra i soggetti esclusi “sembrano rientrare anche i partiti politici ed i sindacati”, appare opportuno quantomeno aprire un dibattitosulla questione.
A parere di chi scrive, la possibilità di comminare ai partiti le sanzioni interdittivepreviste dalla norma si rivelerebbe meno pericolosa della assoluta non-applicazione delle stesse, che consente in molti casi una parziale impunità rispetto agli illeciti commessi, ancora più dannosa per l’intero sistema e per gli stessi interessi costituzionalmente rilevanti che tali enti sarebbero chiamati a perseguire: se pene quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività (art. 9, comma 2, lett. a)) sembrano certamente poco praticabili, “l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi” è invece un’ipotesi senza dubbio percorribile. Inoltre, al fine di non arrecare un eventuale danno agli elettori mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa del partito, potrebbe essere nominato un commissario giudiziale (art. 15) – magari ampliando le condizioni previste per il suo intervento – che si occupi della “prosecuzione dell’attività dell’ente” (un po’ come accade per i Comuni per i quali viene dichiarato lo scioglimento).

Ai partiti manca un modello di governance ben definito

In ultima analisi, poiché la quantità di denaro gestita e l’impatto di eventuali illeciti sonomolto rilevanti, soprattutto se comparati alla non adeguata struttura organizzativa di queste peculiari associazioni, è necessario che anche queste ultime siano attratte nell’ambito applicativo del Decreto 231: ne conseguirebbe l’esigenza, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste, di elaborare ed attuare il modello organizzativo previsto dalla norma, grazie al quale stabilire misure preventive e presidi di controllo incisivi, procedure operative ben definite ed efficaci, che mitighino il rischio di commissione dei reati.

Anche a prescindere dall’aspetto della responsabilità amministrativa per i reati commessi dai soggetti che operano per suo conto e nel suo interesse, infatti, il problema di fondo nella gestione dei partiti sembra essere proprio la mancanza di un modello di governanceben definito, capace di garantire adeguata separazione delle funzioni, corretta attribuzione di responsabilità, trasparenza delle operazioni ed una quantomeno accettabile tracciabilità delle movimentazioni (sia economico-finanziarie che propriamente operative) effettuate. Pertanto, l’adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo ex DLgs. 231/2001 rappresenterebbe non già un obbligo, ma un’opportunità da sfruttare per il raggiungimento degli scopi suddetti.

La credibilità dell’intero sistema politico e giudiziario italiano, dunque, potrebbe passare per un piccolo ma significativo chiarimento/modifica della portata applicativa del D. Lgs. 231/2001, che rappresenterebbe una svolta epocale, cancellando un ulteriore privilegio di cui i partiti hanno finora potuto beneficiare.

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