I reati ambientali nella «231» meritavano maggiore attenzione

 

 

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  • I reati ambientali nella «231» meritavano maggiore attenzione
La circolare Assonime 15/2012 sottolinea come sarebbe stato opportuno ripercorrere l’approccio adottato con i reati in materia di sicurezza sul lavoro
  • / Maurizio MEOLI / Mercoledì 30 maggio 2012
  • L’intervento normativo attraverso il quale sono state inserite tra i “reati presupposto” della responsabilità amministrativa degli enti le fattispecie di omicidio e lesioni colpose sul lavoro (art. 25-septies del DLgs. 231/2001), sebbene precedente rispetto all’ulteriore estensione ai reati ambientali (art. 25-undecies del DLgs. 231/2001), mostra una maggiore maturità e, pertanto, può essere guardata dall’interprete per risolvere alcune questioni interpretative che si possono porre in materia di responsabilità d’impresa e reati ambientali. 

     

    A sottolinearlo è la circolare Assonime 28 maggio 2012 n. 15, già oggetto di commento su questo quotidiano (si veda  “Dubbia l’attribuzione della rilevanza ai fini 231 solo ad alcuni reati ambientali” di ieri).

    In occasione dell’introduzione tra i “reati presupposto” ex DLgs. 231/2001 delle fattispecie di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e di lesioni colpose gravi o gravissime (art. 590 c.p.) commesse con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, il Legislatore (art. 30 del DLgs. 81/2008) si era anche preoccupato di precisare che il modello organizzativo e di gestione, al fine di presentare efficacia esimente della responsabilità dell’ente, avrebbe dovuto essere adottato e attuato assicurando un sistema aziendale per l’adempimento degli obblighi giuridici in materia. Era stato anche chiarito che, in sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumevano conformi ai requisiti richiesti. La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, inoltre, era stata incaricata di elaborare procedure semplificate per l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Nulla di simile è stato riproposto in sede di implementazione dell’elenco dei reati presupposto con le fattispecie ambientali (ex DLgs. 121/2011). Tali lacune sono particolarmente criticabili in relazione alla fase transitoria, non consentendo alle imprese che hanno mostrato consapevolezza e attenzione alla normativa ambientale di avvalersi della medesima presunzione prevista in materia di sicurezza sul lavoro. È ragionevole ritenere, peraltro, che i giudici investiti della questione faranno riferimento, almeno inizialmente, aisistemi di certificazione ambientale, opportunamente integrati, purché adeguati a prevenire i rischi di reato ambientale. In questa prospettiva, quindi, nell’ambito di un Sistema di Gestione Ambientale (SGA), occorre: introdurre specifiche previsioni sugestione delle risorse e pianificazione finanziaria; istituire un Organismo di vigilanza; predisporre flussi informativi adeguati; conferire in modo corretto le deleghe di funzioni in campo ambientale; elaborare unefficace sistema sanzionatorio.

    La circolare Assonime, inoltre, dopo aver ripercorso gli orientamenti emersi in ordine alla nozione di reato commesso nell’interesse o vantaggiodell’ente, osserva come tali criteri, in relazione agli illeciti ambientali, debbano essere riferiti non tanto ai reati, quanto alle condotte costitutive degli stessi, al pari di quanto sostenuto per i reati connessi alla sicurezza sul lavoro. In particolare, Trib. Trani 11 gennaio 2010 ha sottolineato la necessità di accertare, di volta in volta, “solo se la condotta che ha determinato l’evento, la morte o le lesioni personali, sia stata o meno determinata da scelte rientranti oggettivamente nella sfera di interesse dell’ente oppure se la condotta medesima abbia comportato almeno un beneficio a quest’ultimo”. Ciò vale ancor più per i reati ambientali che, nella maggior parte dei casi, sono dipura condotta (e non di evento, come quelli in tema di sicurezza sul lavoro) e sono sia di carattere doloso che colposo.

    Norme sulla prescrizione a rischio incostituzionalità

    Un’ultima considerazione è dedicata all’istituto della prescrizione. L’art. 22 del DLgs. 231/2001 fissa il termine prescrizionale per le sanzioni amministrative in cinque anni a decorrere dal momento in cui si consuma il reato. Termine che si interrompe (ricominciando a decorrere) dal momento della richiesta di misure cautelari interdittive o dalla contestazione dell’illecito amministrativo. In questo secondo caso, tuttavia, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio; vale a dire che è sufficiente iniziare in tempo il processo per tenere l’ente coinvolto nel giudizio per un periodo indeterminato. Questa disciplina solleva alcune perplessità, determinando un’irragionevole disparità di trattamento tra enti e persone fisiche, autrici materiali degli illeciti, per le quali valgono le meno rigorose regole generali. In assenza di specifici interventi normativi (o della Corte Costituzionale), nel medesimo procedimento si registreranno il proscioglimento della persona fisica e la prosecuzione del giudizio per l’ente (la cui responsabilità ha come presupposto proprio quella della persona fisica che ha però visto l’illecito commesso cadere in prescrizione).

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