Rischi di illegittimità per il sistema «231» esteso all’omicidio colposo

L’impianto normativo è disegnato, infatti, per fattispecie dolose

di Maurizio MEOLI / Martedì 03 gennaio 2012

FONTE: SITO EUTEKNE.INFO

L’inserimento tra i reati presupposto difattispecie colpose (omicidio e lesioni colpose con violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro) compromette il sistema “231”insinuando dubbi circa la legittimità costituzionale della disciplina per difetto di tassatività. A precisarlo è il Tribunale di Cagliari nella sentenza 4 luglio 2011 n. 1188.

Ai sensi dell’art. 5 comma 1 del DLgs. 231/2001, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti in posizione apicale o da persone sottoposte alla loro direzione e vigilanza. L’ente non risponde se gli autori del reato presupposto hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (art. 5 comma 2 del DLgs. 231/2001). A tal riguardo – premette la sentenza in commento – è stato precisato che: l’interesse attiene al profilo soggettivo, ovvero alla direzione della condotta verso un risultato favorevole, mentre il vantaggio riguarda il profilo oggettivo, ovvero l’utilità effettivamente conseguita (cfr. Cass. 17 settembre 2009 n. 36083). L’interesse, peraltro, non deve essere inteso in senso puramente soggettivo, ma deve avere una sua oggettività, essendo riconoscibilmente connesso alla condotta illecita. L’interesse o il vantaggio sono normalmente, ma non necessariamente, di carattere patrimoniale.

Incerta si presenta la relazione tra interesse e profitto. Secondo l’interpretazione letterale, i due termini sarebbero pienamente alternativi. Valorizzandosi l’esclusione della responsabilità nel caso di azioni nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, invece, la responsabilità dell’ente sarebbe da escludere quando la condotta si riverberi a vantaggio dell’ente per una sorta di caso fortuito, non essendo intenzionalmente diretta a tale scopo. Quest’ultima soluzione appare preferibile, ma, in ogni caso, si può ritenere assodato che i due requisiti non debbano essere compresenti.

L’inserimento tra i reati presupposto delle fattispecie di omicidio e lesioni “colpose” in conseguenza della violazione delle disposizioni sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (ex art. 25-septies del DLgs. 231/2001) pone rilevanti problemi di compatibilità con la disciplina esaminata. Se, infatti, l’evento morte o lesione potesse corrispondere all’interesse o al vantaggio dell’ente, la finalizzazione della condotta in tale direzione escluderebbe la natura colposa del reato. Non è, quindi, all’evento che occorre guardare, ma alla condotta del reato, dal momento che è prevedibile l’adozione dicondotte tese a risparmiare sui costi, talora notevoli, connessi alla sicurezza sul lavoro. Questa soluzione non determina alcuna estensione in malam partem né alcuna violazione del principio di tassatività. Infatti, posto che, come evidenziato, l’interesse ed il vantaggio non devono essere necessariamente compresenti – ed, in particolare, essendo solo un dato eventuale quello che l’ente ricavi un vantaggio – è sistematicamente accettabile che in relazione ad una determinata tipologia di reati presupposto il profitto non sia configurabile e che, quindi, si debba prendere in considerazione comeunico termine di riferimento la condotta e la sua direzione finalistica (considerata oggettivamente).

Affinché, poi, la condotta possa essere considerata nell’interesse della persona giuridica, si deve trattare di un’azione o di una omissione consapevole e volontaria. Volontarietà che non deve derivare da una semplice sottovalutazione dei rischi o da una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma deve, oggettivamente, rivelare una direzione finalistica verso un obiettivo di risparmio dei costi che può essere o meno conseguito. La volontarietà della condotta ed il fatto che essa sia il frutto di una deliberazione con lo scopo di conseguire un profitto, infatti, rappresenta un’opzione illegittima, ma compatibile con la struttura del delitto colposo, non implicando la volizione dell’evento, neppure nella forma del dolo eventuale.

 

Tutto ciò, peraltro, non risolve inumerosi problemi applicatividerivanti dal fatto che il sistema resta modellato sulla responsabilità per dolo. E così, il citato art. 5 comma 2 del DLgs. 231/2001 appare inapplicabile ai reati in questione senza che, simmetricamente, ne discenda un’automatica imputazione della condotta all’interesse dell’ente. Ciò salvo che non lo si interpreti nel senso che non è imputabile all’ente la condotta colposa quando, pur non essendo diretta a soddisfare un interesse personale del reo, non sianeppure volontaria e finalisticamenteorientata dall’interesse dell’ente.

Ma anche altre disposizioni impongono l’alternativa tra impossibilità diapplicazione ai reati colposi edadattamento arbitrario (si pensi, in particolare, agli artt. 6 comma 1 lett. c) e 12 comma 1 lett. a) del DLgs. 231/2001). Quest’ultima opzione, infatti, avviene a prezzo di operazioni ermeneutiche connotate da ampi margini di soggettività, che si traducono in un difetto di tassatività che rendenon manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla difesa. Questioni irrilevanti nel caso di specie – dove la condotta non risultava posta in essere nell’interesse della società – ma potenzialmente suscettibili di essere nuovamente sollevate in un futuro procedimento giudiziario.

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